Resto fermamente convinto che quanto più semplice è la preparazione, quanto più ristretto è il novero degli ingredienti, tanto maggiore sarà la soddisfazione nel gustare una vivanda della quale si riesce a percepire la pienezza dei profumi e dei sapori.
Cacio e Pepe è un classico della cucina romanesca.
Dietro la sua semplicità, si nasconde, tuttavia, una certa complessità nella realizzazione che richiede indubbia abilità.
Pasta in bianco con il formaggio l’abbiamo mangiata tutti..e non basta una grattatina di pepe sopra per farla diventare una cacio e pepe.
Basta però poco di più di quanto strettamente necessario, basta sbagliare tempi e sequenza per trasformare una potenziale cacio e pepe in un pastone poco gourmand.
Innanzitutto: “cacio e pepe” cosa? Manca il soggetto.
Sottointeso, la pasta: ma quale? Gli spaghetti? i rigatoni? i tonnarelli?
Sono tre valide possibilità: gli spaghetti in nome della tradizione e della essenzialità, i tonnarelli tendono ad assorbire ancora di più il condimento, e può essere tanto un pro quanto un contro, i rigatoni se proprio uno non riesce a rinunciare alla pasta corta.
Pasta cotta al dente, riversata - ancora gocciolante - in una bowl dove avrete messo abbondante pecorino romano e pepe nero grattugiato al momento.
Si mescola subito e rapidamente: l’acqua residua di cottura contribuirà ad estrarre l’amido dalla pasta e ad amalgamare l’ingredienti.
Ancora una spolverata di pecorino e una grattatina di pepe e si impiatta.
Importante che tutto sia caldo: la pasta, i recipienti, il piatto..sennò il formaggio si rapprende.
Poi la potete fare come volete: sappiate che in blasonati locali romani la propinano con una cremina diluita con olio o burro e tendono ad ammorbidire il sapore del pecorino con una buona percentuale di parmigiano.
Ma la ricetta della tradizione, la stessa tradizione che ne faceva un piatto povero dei pastori, è quella che vi ho descritto.
Nel bicchiere: un vino bianco, fresco, ben strutturato, profumato. Un pecorino ad esempio.
Questa volta, all’immancabile taglio di roast beef argentino
(dovevo pur finirlo) ho associato un cous-cous allo zafferano, e una insalatina
catalana.
Due parole sul cous-cous.
Preparato a partire dal grano precotto, che di gran lungo è
il più comodo, in eguale proporzione di acqua.
Al bollore di questa, spenta la fiamma, unito un cucchiaio di olio a filo, o una noce
scarsa di burro, si scioglie una bustina di zafferano in polvere, si aggiunge
il cous-cous, si sgrana con i rebbi della forchetta, si copre ed in cinque
minuti è pronto.
L’insalatina catalana altro non è che un mix di insalata a
foglia verde (indivia o scarola riccia) e peperoni dolci a striscioline, verza e un po’ di carote e zucchine
à la julienne.
Condita con succo di limone,
sale, olio e pepe.
Carne, cous-cous e insalatina ordinatamente impiattati con
un coppapasta e coperti da un sottile filo d’olio.
Ho trovato da IKEA (3,99 €) degli stampini in acciaio inox, che solo dopo averli presi ho scoperto essere non gli stampini per tagliare i biscotti, ma i famosi -e tanto cercati, almeno finché non ho scoperto come si chiamassero e a cosa servissero bene - coppapasta.
Si tratta di quegli stampini senza fondo che vengono utilizzati non solo per tagliare le vivande, ma soprattutto per comporre e impiattare in modo elegante gli alimenti, riso, pasta, contorni di patate e verdure, per dare forma a desert, aspic ed alimenti cotti al forno.
Per il giorno di San Valentino sono andati a ruba quelli a forma di cuoricino, ma anche quelli classici rotondi ho avuto la fortuna di trovarli una sola volta - e mai più - da IKEA.
Il protagonista di oggi, dicevo, non è la sostanza del cibo che è stato cucinato, bensì la sua forma.
Un succulento taglio di roast-beff argentino, sottoposto a lunga frollatura e marinato, pan-fried in padella, con poco olio o burro chiarificato.
La cottura rapida e ad alta temperatura- il pan frying, appunto - consente una rapida attivazione della reazione di Maillard, che conferisce alla carne un aspetto brunito e croccante e dona un dolce profumo abbrustolito.
Oh, detto per inciso, la reazione di Maillard (in parole povere la reazione che avviene durante la cottura tra gli amminoacidi delle proteine e gli zuccheri: una sorta di caramellatura) non potrebbe avvenire nella carne se questa non fosse stata preventivamente marinata.
Così cotta, la carne rimane tenerissima e succosa; con una leggera del coppapasta ne ricaviamo un primo cerchietto.
Per il secondo cerchietto ho stufato delle cipolline borretane pulite con un po di patate novelle e della salsa di pomodoro. Ne è venuto un contorno leggero e saporito che si è fatto praticamente da solo.
Come accompagnamento, infine, ho riempito un altro coppapasta con del riso roma cotto al naturale, a mo’ di imballino.
Tre cerchietti da 5 cm di diametro.
Avevo pronto un Lambrusco Grasparossa di Castelvetro secco, che si è rivelato un ottimo accompagnamento.
Una colazione a
base di bacon and eggs, rivisitata in chiave continentale.
Per prima cosa,
direi di partire dalla musica, che possiamo far partire subito, mentre vi
dispiego l'architettura del piatto. Pink Floyd-Alan's Psychedelic Breakfast è
una scelta d’obbligo.
Per il piatto le immagini parlano già da sole: due uova all’occhio
di bue, un po’ di affettato fritto e delle patate novelle lessate.
Si parte con lo scaldare un po’ di burro in una padella dove vi si fa sfrigolare il
bacon, o, come in questo caso, del prosciutto tirolese affumicato.
Tenete la fiamma viva, ma non fate mai fumare la padella, nella quale,
subito dopo, dovrete andare a cuocere le uova all’occhio di bue.
Patate: ottime quelle novelle - potete anche mangiarle con la
buccia che è sottilissima - appena scottate in acqua bollente; in alternativa
del purè. Lasciate agli americani le patate fritte.
Da bere, resistete alla tentazione di accompagnarvi con una falangina
ghiacciata, e concedetevi una bella spremuta di arance fresche.
O - per lo meno - non ad un semplice pronto-cuoci, ma ad un piatto che si possa definire "cucinato", e non solo preparato per il consumo.
Tutto, come sempre, all'insegna di pochi ingredienti, procedimenti essenziali, niente ammenicoli, e tanto gusto.
La carne, in questo caso, è manzo americano.
Costicchia. Sui 20€ al kg da Despar, che vuol dire almeno 6/7 € per una bistecca.
Tecnicamente il taglio è un sottofiletto, o costata: proviene generalmente dalla sesta alla dodicesima costola, in lingua inglese sarebbe la più classica delle "Rib eye steak", in francese probabilmente "Entrecôte".
Gli amanti delle carni di provenienza estera apprezzeranno, sicuramente, le Rib Eye Steak di Black Angus, un classico - ed è proprio quella che ho preparato questa volta
L'età dell'animale influisce certamente sulla qualità della carne. L'ideale sarebbe una scottona, ovvero una giovane femmina di bovino mai stata gravida (15/16mesi): la carne presenta delle marezzature di tessuti grassi che durante la cottura si sciolgono e conferiscono un gusto delizioso ed una morbidezza ineguagliabile.
Veniamo alla preparazione.
Una breve marinatura a temperatura ambiente con vino bianco, sale e erbe aromatiche.
Una piastra rovente che aspetta.
Si inizia da un lato e tosto si abbassa la fiamma, sempre mantenendola vivace; si passa all'altro lato dopo un un paio di minuti. Un altro paio di minuti, una rapida girata ed ancora una breve scotatta e per una cottura al sangue, di inimitabile morbidezza, è pronta.
Patate novelle per contorno, e un buon vino rosso per mandar giù.
Io l'ho provato con un Cesanese: vellutato, tannico, pastoso eppure morbido.
A volte anche una minestra preparata può fare la sua porca figura.
In periodo di saldi invernali all'Auchan di Casal Bertone i risotti pronti della Riso Gallo - Selezione Gourmet si potevano comprare a 99 centesimi di Euro.
Ecco, bisognava un po' accontentarsi sui gusti disponibili, ma il risotto gamberetti e verdure (un mare-monti, insomma) alla fine non era male.
Senza glutammato (l'odioso sale dell'acido glutammico ricavato non so da dove, forse dagli scarti delle barbabietole, ma che comunque annebbia mente e sapori), pochi grassi aggiunti e con veri gamberetti disidratati.
In cottura gli stessi gamberi si rianimano, acquistando una plausibile consistenza...un po' più difficile l'impresa per le verdure disidratate che mai riacquisteranno il proprio originale aspetto, esprimendo tuttavia un discreto aroma.
Seguendo la ricetta, il risotto tende ad acquisire una consistenza un po' troppo asciutta e compatta, ragione per cui può essere consigliabile aggiungere un po' di più della quantità d'acqua indicata nelle istruzioni.
Tocco finale, un poco (ma proprio poco) di burro negli ultimi istanti di cottura.
Insomma, un piatto onesto, non un 3 stelle ma un 6- più che guadagnato, tenuto conto del costo e della facilità di realizzazione.
Checché se ne dica, uno dei piatti principe della gastronomia
milanese, ha come base del proprio successo il
sapiente stratagemma di coniugare ingredienti preziosi (e costosi) come la
carne di vitello, con ingredienti poveri, ma gustosi, come pangrattato e uovo.
Ecco il segreto di un piatto la cui presenza spazia, in
innumerevoli varianti, in ogni parte del mondo.
Letteralmente, il termine cotoletta si ricollega a
costoletta e dunque a costola: è infatti proprio un costola ricavata da una
lombatina di vitello la parte da cui si ricava la cotoletta.
Questa è, in realtà, la classica cotoletta con osso, ma il
termine cotoletta ha assunto nel tempo un significato più ampio, che non va più
ad indicare il taglio di carne, quanto piuttosto la sua preparazione.
E la preparazione, pur con qualche variante, è in linea di
massima la stessa: la carne viene passata una o più volte nell’uovo e nel pan
grattato, e infine fritta (burro, strutto, olio vegetale).
Variante apprezzata della milanese è quella detta “orecchie
di elefante”, sempre di carne di vitello, ma senz’osso e talmente sottile da
arricciarsi , in fase di cottura, ed assumere quella forma drappeggiata tipica
delle orecchie dei pachiderma.
Imitazione, o originale che sia, la Wiener Schnitzel
(cotoletta viennese), che però non ha l’osso, è la prossima parente della
milanese e a lungo, tra le città, si è
contesa sulla primogenitura.
Arriva perfino in Giappone, dove con il nome di katsuretsu , o di tonkatsu, si indica una
cotoletta di carne di maiale, piuttosto spessa, panata e fritta, e tagliata a
listarelle in stile sushi
.
L’approdo nei fast food ha reso cibo universale la cotoletta:
ora se ne trovano di vitello, di maiale, ti pollo o tacchino, di agnello.
Addirittura, e sono le più comuni tra in prodotti pronti per la cottura, la carne non deriva direttamente da un taglio
dell’animale, ma è un preparato di carne tritata. Queste, in ultima analisi, sono le più semplici da fare:
possono essere cotte perfino in padella senza aggiunta di grassi, essendo già
sufficiente quello della panatura che le ricopre.
Non mi dilungherò troppo nel descrivere i dettagli esecutivi
di questa ricetta, talmente semplice da richiedere non più di poche sommarie
indicazioni.
Ingredienti
Pasta (spaghetti o linguine, le mie preferite, tra i formati
lunghi - trofie, gnocchetti tra i formati corti. Da evitare formati tubolari.
Non ammesso riso - da sperimentare gli gnocchetti di patate)
Pesto
Preparazione
Cuocere la pasta
Aggiungere il pesto
Mescolare
Servire
Il trucco
Il pesto va stemperato con un po’ di acqua di cottura.
La variante
(che poi è la più tradizionale delle ricette), prevede l’aggiunta,
tra gli ingredienti, dei fagiolini e delle patate. In tal caso, si mettono a
cuocere i fagiolini spezzettati insieme con la patata tagliata a tocchetti e si
uniscono alle trenette e al pesto.
I segreti
Se la preparazione e’ semplice, il segreto che rende unica
questa pietanza della tradizione ligure sta negli ingredienti e nel loro legame
con il territorio.
Nel pesto confluisce tutta l’essenza dello spirito ligure:
la ruvidità del carattere, l’attaccamento geloso alle tradizioni, la caparbietà
nel domare un territorio impervio reso florido da un clima straordinariamente
mite.
In ciascuno degli ingredienti che compongono il pesto si
ritrova tutto ciò.
Nel basilico, che solo nella riviera ligure cresce con quel
sapore così intenso, epperò scevro dal sentore mentolato che sovrasta gli
aromi nelle piante coltivate altrove. E’ l’insolazione quello che fa la
differenza. Il basilico (Ocimum basilicum) è quello ligure, con foglioline
piccole di forma ovale e convessa, da cimare rigorosamente a mano. Coltivato da
tempo immemorabile sulle alture sovrastanti l’attuale delegazione di Prà, ha
ricevuto la denominazione di origine protetta come “Basilico Genovese DOP”.
La pasta: da secoli sulle piazze liguri avveniva il mercato
delle migliori partite di grani.
Basti pensare agli Agnesi, capostipiti di una lunga tradizione
molitoria, che fin dai primi anni dell’800 insediarono tra Imperia e
Pontedassio la propria attività che arrivò persino a gestire una flotta di navi
che salpando dalla Liguria raggiungevano il Mare di Azov, dove caricavano
quello che all’epoca era considerato il miglior grano duro al mondo, il
Taganrog.
L’olio è quello DOP della riviera ligure. Diverse sono le
cultivar impiegate (prevalentemente taggiasca nel ponente , Lavagniva, Razzola,
Pignola e Frantoio nella Riviera di Levante) ma comuni sono le tecniche di
coltivazione, di raccolta e molitura che ne fanno un prodotto unico.
Il prodotto deve le sue caratteristiche alle particolari
condizioni pedoclimatiche: i fattori ambientali e le cultivar specifiche di questo
territorio danno infatti un carattere distintivo all'olio ligure.
caratterizzato dall'equilibrio
correlati alla varietà e al clima e
Le modalità colturali (in particolare raccolta ) influenzati
dalla orografia e dal clima, e le
varietà culturali impiegate sono all’origine dell’equilibrio tra le note dolce
e fruttato leggero, con valori di acido oleico tra i più elevati di tutta
Italia.
Le patate, che come abbiamo visto, entrano anch’esse nella preparazione, diffuse in innumerevoli quantità e qualità nell’appennino e nell’entroterra ligure. Tra tutte, la quarantina bianca genovese è la regina indiscussa: colore bianco tenue, non farinosa a granulosità fine
Anche l’aglio ha trovato in liguria spazio per coltivazioni
di nicchia con risultati d’eccellenza. L’aglio di Vessalico, nell’alta Valle
Arroscia., ad esempio riesce a coniugare un aroma intenso accompagnato da un
gusto delicato. La Valle Arroscia, da cui proviene, ha un clima particolarmente
mite: posta ai piedi delle Alpi risente ancora dell'influenza del clima della
costa ligure. I terreni, poi, possiedono quelle caratteristiche strutturali
(granulometria,. Compattezza, porosità) che li rendono particolarmente vocati.
I fagiolini che sono sempre stati attori di prim'ordine nella cucina ligure (basti pensare al polpettone) entrano a pieno titolo anche nella pasta al pesto.
Ancora due ingredienti: i pinoli, gentilmente offerti dagli
strobili dei pini rivieraschi.
E per finire, il sale, marino e rigorosamente a grana grossa
- mai fine! - conferisce sapidità, ma più di tutto esercita l’azione meccanica
di pestatura nel mortaio.
Un piatto unico. Non gustoso non goloso, ma leggero e nutriente. Quindi un piatto che nell'economia della dieta settimanale deve trovare sempre posto. Un taglio di carne bovina non pregiato è perfetto per essere bollito. Il riso lessato al naturale nel brodo di cottura della carne è un ottimo accompagnamento.
Un po' di verdurina fresca qua e la.
Lasciate perdere salse e intingoli vari, questo piatto è così..al massimo un filo di olio a crudo.
Il procedimento è molto semplice e può essere sintetizzato in pochi passaggi.
Dapprima si prepara un brodo, partendo, a freddo, con verdure, odori e se proprio volete un quarto di gallina.
Salate, ma con moderazione.
A bollore, aggiungete la carne bovina: muscolo o scaramella.
Ci vorranno almeno due ore buone.
Raccogliete la carne di muscolo e lasciatela riposare.
Filtrate in una casseruolina parte del brodo e cuocetevi il riso - le varietà a chicco corto sono le più indicate.
Impiattate aiutandovi con uno stampino.
La carne verrà tagliata meglio se lasciata raffreddare.
La svizzera (quella con la esse minuscola), o l'hamburger - di cui abbiamo già parlato - racchiude in sé l'essenza della singolarità. Una molteplicità di tagli e ritagli di carne a formare un unicum ingentilito da una cottura può solo essere perfetta e da un contorno ispirato dalle emozioni del momento. Tutto parte dalla materia prima: solo carne bovina, basso tenore di grassi, rapporto collagene/proteine basso. Ciò premesso anche il più semplice degli hamburger preconfezionati che si trovano nella grande distribuzione è capace di regalare momenti di puro piacere. A maggior ragione un hamburger di razza - in questo caso tagli pregiati di chianina - è in grado di rivaleggiare, senza tema di sconfitta, con i piatti della più alta cucina.
Cominciamo con un hamburger del discount: 1 Euro e 59 centesimi: eppure carne 100% bovina, filiera interamente italiana, tenore in grassi inferiore al 10%, tenore in collagene inferiore al 12% rispetto ai grassi. Alla cottura, si confermano le qualità merceologiche della carne: la grigliatura, a fiamma vivace, avviene regolarmente, gli umori liquidi emessi sono modesti, i grassi sfrigolano senza cattivi odori. Un lato a tutta fiamma per un paio di minuti, poi un altro paio di minuti a calore più moderato, si gira, si sala, si rigira ed è fatto. Due scaglie di formaggio a piacere, messo a fine cottura quando è già nel piatto, completano l'opera. Veniamo la top: un hamburger di carne chianina. La razza bovina per eccellenza per quanto riguarda i tagli di costata racchiude una polpa soda e sapida con la quale si preparano ottimi macinati. In questo caso il grasso arriva a sfiorare il 20%, ma che grasso! Il prezzo è decisamente più elevato, ma va tutto a favore della qualità della carne e del processo di filiera che ne fa un prodotto controllato su tutta la filiera. Un paio di svizzere possono costare anche più di 6 euro, ma la resa è ai massimi livelli. Il comportamento alla cottura è completamente diverso. La fiamma deve essere un po' più morbida per assecondare l'aggregazione delle proteine e la conseguente retrazione della fibra muscolare.
Al palato la carne si scioglie dischiudendo tutti i suoi sapori e aromi. Il sapore più marcato rende possibile abbinamenti un po' più decisi. Della cipolla tagliata a velo, e fatta appassire anch'essa alla griglia si sposa perfettamente, così come una dadolata di pomodorini freschi.
In questo caso d'obbligo un vino rosso di corpo, come un vino nobile di Montepulciano.