Si riparte
Premetto, e concludo, Eataly non mi piace.
O meglio: non mi piace il modo in cui un concept - di per sé
geniale -. ed un imprenditore, Oscar Farinetti, astuto e abile - siano diventati
un baraccone che ne travisa lo spirito iniziale e tradisce le aspettative di
quanti avevano posto fiducia in un progetto che vedeva il cibo - inteso come
messaggero di cultura, tradizioni e territorio - occupare il posto centrale.
Non c’è niente da fare: non mi piace proprio. È una
opinione, beninteso, assolutamente personale e decisamente controcorrente, ma
tant’è.
Che posso farci? Farmelo piacere per forza? No di certo.
Pretendere che Eataly cambi fino a farmela piacere? E perché
mai?!
Posso solo continuare a frequentarlo, perché mai nessuno è
più stolto di chi non mette mai in discussione le proprie convinzioni, assaggiare,
gustare e giudicare. Però giudicherò di volta in volta solo ciò che assaggerò,
vino o cibo che sia. Il resto, come è ovvio, non mi interessa.
Non esprimerò giudizi, insomma, sul fatto che possa piacere o
meno mangiare in un ambiente a metà tra una tavola calda ed un supermercato,
perché Eataly è proprio questo; non mi interessa.
Però della tanto discussa cacio-e-pepe
da 20 euro fredda e collosa , o se le proposte dei ristorantini siano fuffa o
sostanza, se l’assortimento dei reparti valga davvero la pena di essere considerato
come quanto di più prossimo ad una summa dell’enogastronomia italiana, beh, di
questo si che ne parlo. Eccome!
La questione è stata affrontata anche in altre sedi, ma è opportuno
riprendere il concetto.
Dietro una apparente grande varietà di prodotti in
esposizione, l’offerta dei prodotti di Eataly si connota in realtà come una
sorta di grande private label. C’avete
presente i vari Blues di Eurospin per le bibite, o Milbona di Lidl per i latticini,
o Pian del Borgo di Tuodì per i salumi? ebbene, sono tutti marchi commerciali di
fantasia delle rispettive catene di distribuzione. Dietro ci sono i produttori,
a volte in comune, a volte anche gli stessi dei prodotti a marchio, che li producono per conto del titolare del
marchio (la catena) la quale li pubblicizza e li distribuisce nei proprio punti
vendita.
Ordini per quantitativi e contrattazione spinta consentono
di abbattere fortemente i prezzi garantendo livelli qualitativi comunque in
linea con gli analoghi prodotti di marca.
Cosa succede invece da Eataly? Succede che la gran varietà
di prodotti e marchi - molti di lunga e blasonata tradizione - inducono a
pensare che veramente Eataly abbia selezionato e sia riuscita ad offrire
davvero il meglio che c’e’ sulla piazza. E, inconsciamente, trovare un prodotto
nell’assortimento di Eataly porta concludere che per forza di cosa sia frutto
di una attenta selezione e che pertanto sia “di qualità”.
Magari lo è, ma si è implicitamente venuto a costituire un sillogismo
che ruota attorno ad affermazioni che non sono per forza vere, però si spaccia
lo stesso per valido e verificato il sillogismo.
tutti i prodotti in
vendita sono accuratamente selezionati da eataly
eataly seleziona
prodotti buoni
tutti i prodotti in
vendita da eataly sono buoni
Da cui, con ragionamento induttivo, potrebbe scaturire la conclusione
che se un prodotto è in vendita da Eataly, allora e’ buono. Per forza.
Di nuovo: magari è davvero buono - e molti infatti lo sono -
ma non c’è nulla di logico.
È solo frutto di scelte imprenditoriali che hanno portato
Farinetti ad acquisire, direttamente od indirettamente - quote significative di
partecipazione in tanti piccoli produttori di cui prima era partner
commerciale, ed ora è socio.
Si dirà: ma così li ha salvati dal venire stritolati dal mercato?
Forse. Ma ne ha utilizzato la stessa logica e gli stessi strumenti. Più o meno.
Gli esempi?
L’acqua di Lurisia? Eataly
Quel genio di Teo
Musso che aveva portato la birra artigianale del Baladin di Piozzo alla ribalta
internazionale molto prima che Farinetti smettesse di vender televisori? Ora c’e’
dietro -io dentro - Eataly.
Così come per la Birra del Borgo di Borgorose (Ri). Eataly.
Così come nei formaggi dell’Alta Langa (o meglio del
Caseificio dell?Alta Langa: Eataly), nei salumi, nella pasta di Gragnano e così via.
Nei vini pregiati di Borgogno, e in tanti altri vini di più
ampia pubblico sempre di Langa: tutti di Eataly.
Eataly ha piantato la propria bandierina in tante realtà produttive,
tante piccole perle di un universo variegato di sapori che ora però sfilano
ordinatamente tutte attorno in un'unica galassia.
Un’operazione importante, capace di creare una massa critica
tale da incidere in maniera incisiva sul mercato. Ma la si può considerare davvero
“onesta”? A mio parere no, per quanto spiegavo prima.
Un bene, un male? Boh..si vedrà solo analizzando i singoli
casi. Assaggiando. E vedendo , a distanza di tempo quanta cultura, tradizione e
territorio si sono salvaguardati..e se
si è soltanto confermata la lungimiranza imprenditoriale di Farinetti nel fare
business.
Intanto non posso non annotare che per le tante bandierine
piantate qua e là, e che vanno a formare l’assortimento di Eataly, ci sono altrettante,
se non di più, e lacune paurose. Interi areali geografici e settori merceologici ignorati o
sorvolati con gran superficialità. Si dirà, ma non si può avere tutto! è vero,
ma nemmeno si può avere solo, o prevalentemente, ciò che propone, e produce,.
il padrone.
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