venerdì 29 marzo 2013

Ricordi di Langa: denominazioni e sapori


Sono passati 10 anni da quando ho lasciato le Langhe
Vivevo in un paesino sul fondovalle del Tanaro, la dove finiva la pianura ed iniziavano i bricchi marnosi.
In dieci anni la Langa, quella della contadina, ha fatto passi da gigante; l’enogastronomia ha fatto il salto: prodotti di nicchia ora sono diventati brani nazionali per non dire mondiali.
Non c’è più solo tartufo, nutella e vini barbero: ora c’è davvero di tutto e ai massimi livelli.
E’ il giusto riconoscimento per una terra difficile ma generosa: carni, formaggi, salumi si aggiungono agli altri prodotti di qualità protetti in ambito nazionale ed internazionale.


L’ultima spesa che ho fatto da Eataly mi ha permesso di mettere insieme un po’ di sapori che da tempo mi mancavano.
La carne: quel fassone di razza piemontese che frollato al punto di langa offre tagli di una morbidezza senza fine.
Il formaggio: una tuma o robiola dlel’alta langa. Mista ovino-vaccino, giustamente grassa e sapida, con tutti sentori erbacei dei fieni utilizzati.
Il vino: stavolta non un dolcetto qualsiasi, ma una rivisitazione in chiave moderna frutto del sapiente assemblaggio di dolcetto pinot nero e merlot.
risultato: amarcord allo stato puro. Con qualche puntualizzazione da fare.
Partiamo dal vino. San Romano “era” il dolcetto. Caposcuola della rinascita di questo vigneto difficile che era riuscito a creare quel piccolo capolavoro che era il Bricco del Pilone, e aveva fatto da traino ad una piccola truppa di produttori che partivano da Dogliani e Farigliano per riscuotere successi sulle guide e sulle tavole di mezza Italia: Pecchenino, Abbona, Bocca, Einaudi.
Poi qualcosa si è infranto: se da una parte si riusciva a valorizzare l’eccellenza dei terroir con una nuova ed esclusiva doc (Dogliani superiore docg), dall’altra si puntava ad ampliare la base ampelografia, gli areali di produzione, le rese e semplificando il quadro delle denominazioni esistenti, come se le troppe denominazioni che ruotavano attorno al dolcetto nuocessero alla sua riuscita commerciale.
E sono cominciati a  venir fuori strani ibridi
Non stiamo parlando di aggiungere quel 5-10% di barbera per affilare un dolcetto magari troppo poco acido e dai tannini troppo morbidi.
Il “3 vini” di San Romano è un assemblaggio di Dolcetto, Merlot e Pinot nero che non ha proprio senso: non siamo né a Bolgheri né a Barbaresco. Il dolcetto non ha la struttura che serve per reggere così sofisticati equilibri.
Il naso è buono - Beppe Caviola, il winemaker, si sente - e non ci sono difetti apprezzabili in bocca. Le note fruttare e floreali ci sono tutte, così come i giusti sentori speziati e mandorlati. Però si sente che la struttura debole non consente l’affinamento atteso: persistenza scarsa e retrogusto sbiadito.
Passiamo al formaggio.
Le pecore dell’alta langa sono di una razza particolare; pochissimi esemplari ed una lotta continua per salvarla dall’oblio.
L’unica salvezza viene proprio dalla produzione dei formaggi, ed in particolare da quel Murazzano Dop che è la più piccola delle denominazioni piemontesi.
Eppure ciò non basta: qualche investimento sbagliato (il caseificio di riferimento che viene messo in liquidazione ed è fermo da anni) insieme alle difficoltà a competere sul mercato ed ecco che i soci del Consorzio di Tutela del Murazzano Dop ne si possono contare sulel dita di una mano.
Molti hanno lasciato perdere e si son messi a produrre tome secondo la tradizione delle Langhe ma al di fuori della denominazione di origine.
Stesso discorso che avevamo fatto per il vino.
Laddove si riesce a creare le condizioni per mettere in piedi e tutelare un prodotto di eccellenza, si ripiega tosto su produzioni simili, ma che non necessitano di seguire rigidi disciplinari di produzione.
Colpa dei disciplinari o stringenti o ignavia dei produttori? Boh..però è sempre facile tirarsi indietro quando c’è da rispettare regole e regolamenti.
La mancanza della denominazione di origine, sulle tome del Caseificio dell’alta Langa, è sopperita, a livello commerciale, dalla grande forza propulsiva che deriva loro dall’essere parte di quel colosso che è Eataly.
ove, per inciso, se cercate un vero Murazzano Dop non ne trovate traccia.
Sì, ma all’atto pratico? certamente il prodotto è buono, ci mancherebbe” con quello che costa.., ma manca quel qualcosa che rendeva unico il Murazzano.
Qui ogni forma è uguale all’altra, tutti i giorni dell’anno.
Il Murazzano Dop aveva invece la capacità di evocare i profumi e i sentori dei pascoli dove si produceva il latte, diversi di giorno in giorno  e di toma in toma.
Suggestioni o realtà? certo la magia dei sapori è fatta anche di immaginazione.
Finiamo con la carne. Nient’atro da dire: F.A.V.O.L.O.S.A. !!
E l’abbinamento? uno spicchio di tuma + una tagliata al sangue + un bicchiere di vino dolcetto? Indovinato.

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