giovedì 8 marzo 2012

Carciofi alla Giudia




Per la serie “buona la prima”, mi sono cimentato in questa delicata preparazione con risultati sorprendentemente incoraggianti. Fin dal primo tentativo.

Buoni e belli allo stesso tempo.

Verrebbe da dire che il carciofo è, prima di tutto, un fiore. Ed è anche un bel fiore: i suoi petali incorniciano un tenero bocciolo.

Un  po’ di botanica, allora.

La pianta del carciofo (Cynara cardunculus) appartiene alla famiglia delle Asteraceae, della quale fanno parte anche tarassaco, cardo, cicoria, girasole.

Artichoke (Cynara Cardunculus)
La caratteristica floreale è quella di avere una infiorescenza raccolta in un capolino.

Quindi, per capirci, il carciofo, non è un fiore, ma una infiorescenza, un insieme di tanti piccoli fiori raccolti in un capolino.
In realtà il carciofo viene raccolto prima che si sviluppi l’infiorescenza, e quelle che si mangiano altro non sono che le bratee, ovvero le foglie modificate (quelle color verde,o violetto) che accompagnano l’infiorescenza. La peluria che si trova al centro altro non sono che i frutti (acheni) con il loro caratteristico piumetto (pappo).

I cimaroli (o mammole) sono i più pregiati, e raggiungono la dimensione maggiore (oltre i dieci centimetri di diametro per il carciofo romanesco IGT); gli altri capolini che crescono sulla pianta (di primo e di secondo ordine) sono in genere più piccoli.

Per quanto occorrer possa, sono convinto che la conoscenza anche botanica di una verdura, concorre ad una sua più appropriata preparazione in cucina.

Torniamo ai Carciofi alla Giudia

È un classico della cucina giudacico romanesca, tradizionalmente preparata prima o dopo il digiuno per la Festa del Kippùr (Giorno dell'espiazione). Festa che cade, appunto, nel periodo in cui in commercio si trovano i migliori carciofi: i cimaroli o le mammole.

Si puliscono (“capano”) i carciofi, facendo loro assumere la forma di un bocciolo; si strofinano con il limone e si imemrgono in acqua acidulata poer prevenirne l’ossidazione.

Si friggono un aprima volta in abbondante olio di oliva a fuoco moderato; si lasciano indi raffreddare completamente. Una volta raffreddati con una forchetta si apre delicatamente il bocciolo e si procede alla seconda cottura, questa volta a fiamma molto vivace, riponendoli con il gambo in alto.

Una spruzzata di acqua ( o vino) freddo e un ultimo passaggio in olio bollente conferiscono l’ultimo ttocco di croccantezza al piatto.

Lezioni di anatomia


Dopo aver provato la coratella, un ripassino di anatomia e biologia animale è d’obbligo.
Coratella di abbacchio


Polmone, fegato e cuore sono le parti tipiche della coratella d’abbacchio, ma si mangiano anche quelli di vitello e manzo.


Il cuore è muscolatura striata, con pregevoli caratteristiche nutrizionali.


I polmoni sono viscere cave, di scarso valore commerciale, utilizzato per lo più come ingrediente di zuppe o minestre.


Da sinistra: milza, polmone, cuore e fegato di bovino adulto
Il fegato è la più grande delle ghiandole dei mammiferi, e gioca un ruolo fondamentale nel metabolismo e svolge una serie di processi tra cui l'immagazzinamento del glicogeno, la sintesi delle proteine del plasma, la rimozione di sostanze tossiche dal sangue. Produce la bile, importante nei processi della digestione.
Di elevati valori nutrizionali trova ampio uso nelle cucine di tutto il mondo.


Del vitello si mangia anche la milza. La milza è un organo impari (ovvero ce n’è uno solo, un po’ come il cervello, invece di due, come i reni, o tre, come i testicoli),  di forma ovoidale, situato nella parte sinistra dell'addome, sotto il diaframma, in prossimità dello stomaco e del pancreas. Il suo compito è di produrre globuli bianchi, ripulire il sangue dai globuli rossi invecchiati e controllare la presenza di agenti patogeni e particelle estranee. Pur essendo dotata di molteplici funzioni, la milza non è un organo indispensabile alla vita. Se ne può fare, insomma, a meno. Viene cucinata a pezzetti, fritta nella sugna, e costituisce companatico d’elezione di quel classico della cucina da strada siciliana che è il panino con la milza ('U pani c'a meusa, )


La trippa è una frattaglia costituita da diverse parti dello stomaco del bovino (stomaco, non l’intestino: quello è la pajata). Generalmente si utilizza l’omaso, che è la terza cavità dello stomaco, anche detta foglietto, da cui il termine foiolo localmente utilizzato come sinonimo di trippa.
Parimenti viene sovente utilizzato anche l’abomaso, la quarta e ultima delle cavità gastriche presenti nei ruminanti: è proprio dall’abomaso, ad esempio che si ricava la tipica trippa toscana, il lampredotto.


Schienali
Gli schienali (o midollini o filoni) provengono dalla colonna vertebrale del bovino e ne costituisce il midollo spinale. Da non confondere, chiaramente,  con il midollo osseo, quello degli ossobuchi e che viene utilizzato nella preparazione tradizionale del risotto alla milanese. Gli schienali si preparano pastellati e fritti.
animelle


Le animelle. Animella è il nome popolare del timo, una ghiandola situata nel collo dei bovini che non superano i due anni di vita. Ha un elevato contenuto nutrizionale, nonché un elevato tasso di colesterolo. Di gusto delicatissimo rievocante il sapore del latte, è avvolta da una membrana che viene tolta dopo che la ghiandola è stata sbollentata per alcuni minuti. Spesso questo termine animelle viene esteso ad altre frattaglie del vitello, del vitellone o dell'agnello, quali il pancreas e le ghiandole salivari.



Cervello di vitello
Il cervello - o encefalo -  è un viscere di colore biancastro, globiforme, costituito da due emisferi posteriormente ai quali è localizzato il cervelletto di aspetto anch'esso globoso.  Con i rischi derivanti dall’epidemia di BSE, il cervello si può mangiare solo se proveniente da animali giovani, al massimo di un anno di età.

La lingua dei bovini rappresenta un viscere di buon valore commerciale, costituito completamente da muscolatura striata. Prende parte ai bolliti di carne.

Del maiale (ma anche dei vitelli) si mangiano infine gli zampetti (parte distale degli arti anteriori e posteriori, con abbondante componente tendinea e legamentosa) e la coda.

mercoledì 7 marzo 2012

The dark side of the food (coratella coi carciofi)


Polmone, fegato e cuore: Coratella di abbacchio

Il colore, innanzitutto, fa ribrezzo:scuro, bruno, per nulla invitante.

Il profumo poi, o, meglio, l’odore: pungente.


Complesse sensazioni sinestetiche lasciano ampio spazio però all’immaginazione di un sapore forte, deciso, che, per fortuna, soddisfano il palato. Esso vi si riempie di stimolazioni dolciastre ed amare. Buone.

Sono le frattaglie.
Le viscere.
Le interiora
Le rigaglie
Corata e coratella: polmone, cuore, fegato.
Ma anche milza, schiene, nervi.
Cervello e lingua.
Budelli
Finanche, nei maialini e vitelli, i piedini.

Apparentemente scarti di macellazione.


 Molte cucine tradizionali, in ispecie le cosiddette “cucine povere”, hanno trovato il modo, con fantasia ed ingegno, di nobilitare quelle parti meno nobili dell’animale che rimanevano della macellazione.
A Roma, e non solo, costituiscono la cucina del quinto quarto, ovvero la parte che rimane della bestia vaccina o ovina dopo che sono state vendute ai benestanti le parti pregiate: i due quarti anteriori e i due quarti posteriori. Si faceva di necessità virtù e si riusciva a offrire in maniera presentabile un po’ di avanzi arricchiti con delle frattaglie.

Piatti poveri? O piatti fatti con materie prime povere? Certamente la seconda.

C’e’ poi da dire che, per la loro veloce deperibilità, le interiora possono essere consumate solo se veramente freschi: il che è un vantaggio. E, essendo essi organi indice della salute dell’animale, c’e’ più certezza che la carne provenga da un animale in perfetto stato mangiandone le interiora piuttosto che mangiando un taglio pregiato.

La preparazione non presenta particolari complessità.

Abbondante cipolla con cui rosolare le carni tagliate a piccoli pezzi,da aggiungere un po’ per volta in considerazione del tempo di cottura (di più il fegato, di meno il polmone).

Con i carciofi, di cui ora comincia la stagione, formano una accoppiata vincente

Nel pane, leggermente bruscato da un lato, con abbondante intingolo, è la morte sua.

martedì 6 marzo 2012

Postacci


Postacci: non sono mica i posti a la Gambero Rozzo -  quelle bettolacce in cui è il mangiar male ad evocare emozioni - né tanto meno i posti in cima alle classifiche del GamberoRosso (quello con la esse), dove perlopiù solo le papille di sprovveduti gastrogonzi riescono a vibrare d’emozione.

Postacci sono quei posti in cui vai semplicemente per mangiare, né bene né male, ma per mangiare esattamente ciò che ti vorresti trovare nel piatto in quel preciso istante, in quel posto, in quello stato d’animo. E te ne freghi se la tovaglia è di carta, se coltello e forchetta non appartengono allo stesso servizio, e se perfino i commensali sono spaiati.
Postacci non è dunque un dispregiativo di posto: è un sostantivo a sé (e, semmai dovesse servire, tenete a mente che ne esiste anche una versione dispregiativa: postacciaccio).

La Liguria è una terra da esplorare..capace di contentare un microcosmo in un fazzoletto di terra stretto tra mare e monti, in cui le stagioni si susseguono al ritmo di uno sciacquone del water, in cui ogni cosa, perfino una certa ruvidezza caratteriale delle sue genti, è indissolubilmente legata al territorio.
[Fj] Past.ramaIl cibo ne è la testimonianza più evidente..

L’esplorazione comincia un sabato mattina sul lungomare di Sestri Ponente.
L’aeroporto è talmente vicino che non vale la pena di prendere un taxi, o un bus…si va a piedi i città e poi ci si muove.
Ale 801
Il primo bus che passa è l’uno, che percorre da un lato all’altra la città, da Voltri (il nuovo porto commerciale, il grande terminal container)  fino a Caricamento (il vecchio Porto Antico).
Genova - area portuale e il Matitone
In mezzo c’e’ di tutto: dalla città industriale che non c’e’ più (le acciaierie di Cornigliano), alla città industriale che ha trovato nuova vita nel moderno centro di Fiumara, al Matitone, simbolo del rinnovamento intrapreso con le Columbiadi del novanta, di immagine, funzionalità è razionalità.


Sampieradrena

E infine Genova.

La città, per me, inizia con il sestiere (sestiere -  e non quartiere - perché nel centro storico di Genova sono appunto in numero di sei) di Prè.

Una scintillante panetteria, pasticceria è il luogo ideale per una chiassosa colazione: cappuccino e focaccia.L’accostamento, sorprendente, si rivela molto più familiare del classico accostamento del cappuccino con il croissant.

Vicoli degradati e sontuosi palazzi secenteschi si alternano in una ordinata confusione, bagasce  e mercanti, la ricchezza di stucchi e specchi Art Déco di alcuni bar e lo squallore di altri locali.
Ma tutto ha un fascino, un profumo, una ragion d’essere.
Come il mercato orientale, così chiamato perche sorge nella parte orientale della città, verso brignole.
Verdure, pesce, carni..un classico mercato annonario, a colori.

Ora di pranzo.

La meta è fissata, ed è il postaccio di oggi: Trattoria Da Maria, a due passi da Piazza De Ferrari e dal Teatro Carlo Felice.
Un vicoletto cela l’ingresso di questo locale che è una vera e propria istituzione per i genovesi.
Semplicità del posto - decoroso ma senza fronzoli -  e  genuinità della cucina - la creatività e le variazioni qui non sono ammesse: tutto è fatto alla maniera classica - sono le carte vincenti di questo locale che, anche adesso che Maria non c’è più, tiene fede alla tradizione.
Clienti fissi e, pochi, forestieri di passaggio si accalcano su lunghe tavolate, chi chiacchierando, chi rimuginando in silenzio.Nicoletta, maître  di sala, ha il suo bel da fare.
Al piano terra un paio di stanze e la cucina in vista; una ripida scala, anch’essa a vista, conduce al piano superiore dove con altrettanti  locali, di solito un po’ meno affollati, si riesce sempre a trovare posto, senza lunghe attese.
In ogni caso , qui, l’orario del pranzo è massimo a mezzogiorno: oltre tale ora, la lista dei piatti si accorcia sempre di più.

La lista, a proposito, è costituita da tante targhette che vengono appese con piccoli ganci sulle pareti; mano a mano che una determinata pietanza finisce, viene tolta la relativa targhetta.
C’e’ poi la carta, il menù, dove ogni piatto è accompagnato non tanto dalla sua descrizione, quanto da un appellativo qualificativo.

Ecco dunque che il minestrone alla genovese sarà indicato come minestrone “buonissimo”; lo stesso dicasi del polpettone: basta sapere che è “buonissimo”, cosa ci sia dentro è secondario.
il dolce della casa è semplicemente “delizioso”, di nome e di fatto.
Commensali vanno e vengono con gran velocità: ho quasi finito di mangiare il mio minestrone (a proposito: buonissimo!) che mi si siedono davanti Bob e Roberta.

La conversazione prende subito piede: Bob è Roberto - Bob -Quadrelli, una leggenda della scena indie Genovese. Un  Premio Tenco alle spalle, una lunga carriera che spazia tra il punk e l’ento-folk, una misteriosa malattia che lo mina nel fisico ma non nell’animo.

Roberta è Roberta Barabino, raffinata ed elegante cantautrice genovese: un LP (Magot), delizioso e suadente, da poco uscito.


Il secondo ci penseranno loro a ordinarmelo: acciughe ripiene, un bontà.

Sulle pareti, non foto di vip tristi testimonial al locale, ma una serie di testimonianze, aneddoti, mattestati di riconoscenza, lasciati da chi nel corso degli anni ha eletto Da Maria come una propria seconda casa.

Undici Euro e 50 per un menù completo, comprensivo di vino e dolce.

Il caffè non me lo sono scordato di prendere: a Piazzale Corvetto, percorrendo poche centinaia di metri della sciccosissima Via Roma, c’è lo storico Bar Pasticceria e Confetteria Mangini, un localedi gran classe.

Il pomeriggio prosegue con ampie passeggiate per la città, in attesa della prossima gastro-meta già stabilita: destinazione Savona.

Musica: un omaggio a Roberta Barabino e alla sua compagnia. - Buongiorno a te -Radio Edit- Magot, Roberta Barabino



spaghetti con la bottarga


Non passa che un giorno da quanto ho sperimentato l’esclusiva semplicità degli spaghetti ajo e ojo, che vedendo un vasetto di bottarga di muggine mi è balenata un’idea.


La ricetta sembra identica, il risultato - e il sapore - è completamente differente.

La bottarga - per chi non lo sapesse - non è altro che il sacco ovarico, le gonadi, insomma le uova - sottoposto a salatura e pressatura. La muggine altro non è che il cefalo; la bottarga di tonno è ancora più pregiata.
Si unisce a fine cottura, in padella saltando la pasta con del buon olio extra vergine di oliva.
Una grattatina di ricotta salata non ci sta male.

Il prezzemolo - ornamentale, s’intende - è d’obbligo.

Vino: La segreta  Planeta 2010 - un sapiente mix di uve autoctone della Sicilia (Grecanico) e vitigni internazionali (Chardonnay, Viognier) Un naso esuberante e un riuscito equilibrio tra acidità e sapidità al palato


Nihil in the fridge (quando il frigo è vuoto)


Aspettavo con ansia il giorno in cui non avrei trovato nulla nel frigorifero.
Né un uovo, né dei pomodori, né della verdura, nemmeno della carne. Niente. Di niente.

È il giorno perfetto. The perfect day. È il giorno perfetto per cimentarsi nel piatto più semplice, l’unico, forse al pari dell’uovo al tegamino e della patata lessa, che è in grado di rivelare l’effettiva abilità in cucina.
È il giorno perfetto per due spaghetti ajo e ojo. E peperoncino.

L’aglio era pure rinsecchito. Il peperoncino era quello confezionato frantumato. L’olio era invece buono buono: un Canino dop.

La preparazione è semplicissima: che devo dire!? Spaghetti (o linguine, ma meglio gli spaghetti) cotti al dente, aglio fatto sfrigolare nell’olio insieme al peperoncino, poi tolto (ma c’e’ chi lo lascia). Due salti in padella. Una spolverata di prezzemolo come ornamento.
Evuala’

Vino: castelli romani bianco. Asciutto e sapido