venerdì 23 novembre 2012

Minestrina

Sapori d'autunno per questo corroborante brodino, o zuppa che dir si voglia, di zucca e patate. Per quanto è semplice da preparare, per una volta vale la pena di accantonare le minestre preparate, e cucinarlo in prima persona. Zucca a cubetti, qualche patata e una cipolla a rosolare in un tegame con poco olio o burro; si copre con un brodo vegetale e si lascia cuocere per una mezza ora. Si passa brevemente al mixer fino a ridurlo ad una crema dalla consistenza filante. Lo sui riporta sul fuoco e la si tira con poca panna liquida.
E' difficile sbagliare: anzi, è facile che venga veramente buona. L'unica incognita è la zucca, che può essere più o meno dolce, e conferire un colore - che anch'esso conta - variabile dall'arancio acceso all'inutile giallognolo.
Le cultivar che preferisco sono la moscata di Provenza (per intenderci globosa, un po' schiacciata e costoluta), dal colore arancio acceso e dal sapore più dolce, o la classica zucca violina (a forma di violino, o secondo tal'altri, di arachide), dal colore - parlo della polpa - arancione rosato e con un marcato retrogusto mandorlato.
A meno di non portarsi a casa un ortaggio delle dimensioni di un reostato, conviene procurarsi un mezzo chilo di zucca già mondata e porzionata: peccato solo che così sia meno facile riconoscerne la varietà.
Ero tentato di bagnarmi le labbra con un vino importante, ma poi sono rimasto sul leggero.

martedì 20 novembre 2012

Tofu con verdure



Una robina al volo. Stanco di un mangiare che appesantisce, e che non rende giustizia al decadentismo della mia silhouette, cerco di privilegiare cibi al alto tenore proteico,pochi grassi e pochi o punti carboidrati.
Ecco il tofu, per esempio.
Il moderno Tofu è costituito da proteine vegetali della soia, tenute insieme da una miscela di acetato di vinile. Tradizionalmente il tofu veniva ottenuto attraverso la cagliata del latte di soia.
Quale che sia il tipo che sceglierete di utilizzare, è sufficiente suddividere a dadini il panetto di tofu, farlo rosolare con poco olio, aggiungere verdure miste (carote, cipolle, peperoni ecc) e far insaporire con una salsa di soia.
Pochi minuti di cottura, ed è pronto.
Non è un granché, ma è leggero.

lunedì 29 ottobre 2012

Bastoncini di pesce


Torno dopo qualche mese ad occuparmi di cucina.


Non che non abbia mangiato o cucinato nel frattempo, ma la cosa che più somigli ad una pietanza che ho avuto occasione di mettere sul piatto è quella di cui parlerò in questa occasione.I classici bastoncini di pesce.
Si trovano già bell'e pronti nel banco dei surgelati. LA panatura, sapida e croccante, è il cavallo di troia tramite si riesce ad inserire nella dieta alimentari di individui poco propensi a farlo, il pesce, alimento indispoensdabile per l'alimentaziopne umana.
Peccato che non tutti i bastoncini rendano giustizia della loro nobile missione, e le carni utilizzate non siano tutte di eguale qualità.
Il termine merluzzo, per le preparazioni alimentari a base di pesce, è un termine generico che spazia dal pollack al merluzzo carbonaro, ad altre specie ancora, tutte comunque meno pregiate, e meno valide dal punto di vista tradizionale, del merluzzo vero e proprio (Gadus morhua).
Addirittura, alcunbi tipi di bastoncini di pesce vengono preparati a partire da paste di pesce, e non da filetti interi. Tutto ciò non toglie nulla al loro gusto ed alla loro praticità.
Essendo già abbondantemente ricoperti di una untuosa e spessa impanatura, l'unica accortezza, in fase di cottura, e di passarli rapidamente in padella con un minimo di olio.

Sul piatto, due gocce di limone e una spolverata di erbe aromatiche possono rendere ancora più invitante il tutto.

Nel bicchiere, un vermentino di sardegna. Fresco, con un buqet di fiori di campo ed un retrogusto mandorlato.

giovedì 8 marzo 2012

Carciofi alla Giudia




Per la serie “buona la prima”, mi sono cimentato in questa delicata preparazione con risultati sorprendentemente incoraggianti. Fin dal primo tentativo.

Buoni e belli allo stesso tempo.

Verrebbe da dire che il carciofo è, prima di tutto, un fiore. Ed è anche un bel fiore: i suoi petali incorniciano un tenero bocciolo.

Un  po’ di botanica, allora.

La pianta del carciofo (Cynara cardunculus) appartiene alla famiglia delle Asteraceae, della quale fanno parte anche tarassaco, cardo, cicoria, girasole.

Artichoke (Cynara Cardunculus)
La caratteristica floreale è quella di avere una infiorescenza raccolta in un capolino.

Quindi, per capirci, il carciofo, non è un fiore, ma una infiorescenza, un insieme di tanti piccoli fiori raccolti in un capolino.
In realtà il carciofo viene raccolto prima che si sviluppi l’infiorescenza, e quelle che si mangiano altro non sono che le bratee, ovvero le foglie modificate (quelle color verde,o violetto) che accompagnano l’infiorescenza. La peluria che si trova al centro altro non sono che i frutti (acheni) con il loro caratteristico piumetto (pappo).

I cimaroli (o mammole) sono i più pregiati, e raggiungono la dimensione maggiore (oltre i dieci centimetri di diametro per il carciofo romanesco IGT); gli altri capolini che crescono sulla pianta (di primo e di secondo ordine) sono in genere più piccoli.

Per quanto occorrer possa, sono convinto che la conoscenza anche botanica di una verdura, concorre ad una sua più appropriata preparazione in cucina.

Torniamo ai Carciofi alla Giudia

È un classico della cucina giudacico romanesca, tradizionalmente preparata prima o dopo il digiuno per la Festa del Kippùr (Giorno dell'espiazione). Festa che cade, appunto, nel periodo in cui in commercio si trovano i migliori carciofi: i cimaroli o le mammole.

Si puliscono (“capano”) i carciofi, facendo loro assumere la forma di un bocciolo; si strofinano con il limone e si imemrgono in acqua acidulata poer prevenirne l’ossidazione.

Si friggono un aprima volta in abbondante olio di oliva a fuoco moderato; si lasciano indi raffreddare completamente. Una volta raffreddati con una forchetta si apre delicatamente il bocciolo e si procede alla seconda cottura, questa volta a fiamma molto vivace, riponendoli con il gambo in alto.

Una spruzzata di acqua ( o vino) freddo e un ultimo passaggio in olio bollente conferiscono l’ultimo ttocco di croccantezza al piatto.

Lezioni di anatomia


Dopo aver provato la coratella, un ripassino di anatomia e biologia animale è d’obbligo.
Coratella di abbacchio


Polmone, fegato e cuore sono le parti tipiche della coratella d’abbacchio, ma si mangiano anche quelli di vitello e manzo.


Il cuore è muscolatura striata, con pregevoli caratteristiche nutrizionali.


I polmoni sono viscere cave, di scarso valore commerciale, utilizzato per lo più come ingrediente di zuppe o minestre.


Da sinistra: milza, polmone, cuore e fegato di bovino adulto
Il fegato è la più grande delle ghiandole dei mammiferi, e gioca un ruolo fondamentale nel metabolismo e svolge una serie di processi tra cui l'immagazzinamento del glicogeno, la sintesi delle proteine del plasma, la rimozione di sostanze tossiche dal sangue. Produce la bile, importante nei processi della digestione.
Di elevati valori nutrizionali trova ampio uso nelle cucine di tutto il mondo.


Del vitello si mangia anche la milza. La milza è un organo impari (ovvero ce n’è uno solo, un po’ come il cervello, invece di due, come i reni, o tre, come i testicoli),  di forma ovoidale, situato nella parte sinistra dell'addome, sotto il diaframma, in prossimità dello stomaco e del pancreas. Il suo compito è di produrre globuli bianchi, ripulire il sangue dai globuli rossi invecchiati e controllare la presenza di agenti patogeni e particelle estranee. Pur essendo dotata di molteplici funzioni, la milza non è un organo indispensabile alla vita. Se ne può fare, insomma, a meno. Viene cucinata a pezzetti, fritta nella sugna, e costituisce companatico d’elezione di quel classico della cucina da strada siciliana che è il panino con la milza ('U pani c'a meusa, )


La trippa è una frattaglia costituita da diverse parti dello stomaco del bovino (stomaco, non l’intestino: quello è la pajata). Generalmente si utilizza l’omaso, che è la terza cavità dello stomaco, anche detta foglietto, da cui il termine foiolo localmente utilizzato come sinonimo di trippa.
Parimenti viene sovente utilizzato anche l’abomaso, la quarta e ultima delle cavità gastriche presenti nei ruminanti: è proprio dall’abomaso, ad esempio che si ricava la tipica trippa toscana, il lampredotto.


Schienali
Gli schienali (o midollini o filoni) provengono dalla colonna vertebrale del bovino e ne costituisce il midollo spinale. Da non confondere, chiaramente,  con il midollo osseo, quello degli ossobuchi e che viene utilizzato nella preparazione tradizionale del risotto alla milanese. Gli schienali si preparano pastellati e fritti.
animelle


Le animelle. Animella è il nome popolare del timo, una ghiandola situata nel collo dei bovini che non superano i due anni di vita. Ha un elevato contenuto nutrizionale, nonché un elevato tasso di colesterolo. Di gusto delicatissimo rievocante il sapore del latte, è avvolta da una membrana che viene tolta dopo che la ghiandola è stata sbollentata per alcuni minuti. Spesso questo termine animelle viene esteso ad altre frattaglie del vitello, del vitellone o dell'agnello, quali il pancreas e le ghiandole salivari.



Cervello di vitello
Il cervello - o encefalo -  è un viscere di colore biancastro, globiforme, costituito da due emisferi posteriormente ai quali è localizzato il cervelletto di aspetto anch'esso globoso.  Con i rischi derivanti dall’epidemia di BSE, il cervello si può mangiare solo se proveniente da animali giovani, al massimo di un anno di età.

La lingua dei bovini rappresenta un viscere di buon valore commerciale, costituito completamente da muscolatura striata. Prende parte ai bolliti di carne.

Del maiale (ma anche dei vitelli) si mangiano infine gli zampetti (parte distale degli arti anteriori e posteriori, con abbondante componente tendinea e legamentosa) e la coda.

mercoledì 7 marzo 2012

The dark side of the food (coratella coi carciofi)


Polmone, fegato e cuore: Coratella di abbacchio

Il colore, innanzitutto, fa ribrezzo:scuro, bruno, per nulla invitante.

Il profumo poi, o, meglio, l’odore: pungente.


Complesse sensazioni sinestetiche lasciano ampio spazio però all’immaginazione di un sapore forte, deciso, che, per fortuna, soddisfano il palato. Esso vi si riempie di stimolazioni dolciastre ed amare. Buone.

Sono le frattaglie.
Le viscere.
Le interiora
Le rigaglie
Corata e coratella: polmone, cuore, fegato.
Ma anche milza, schiene, nervi.
Cervello e lingua.
Budelli
Finanche, nei maialini e vitelli, i piedini.

Apparentemente scarti di macellazione.


 Molte cucine tradizionali, in ispecie le cosiddette “cucine povere”, hanno trovato il modo, con fantasia ed ingegno, di nobilitare quelle parti meno nobili dell’animale che rimanevano della macellazione.
A Roma, e non solo, costituiscono la cucina del quinto quarto, ovvero la parte che rimane della bestia vaccina o ovina dopo che sono state vendute ai benestanti le parti pregiate: i due quarti anteriori e i due quarti posteriori. Si faceva di necessità virtù e si riusciva a offrire in maniera presentabile un po’ di avanzi arricchiti con delle frattaglie.

Piatti poveri? O piatti fatti con materie prime povere? Certamente la seconda.

C’e’ poi da dire che, per la loro veloce deperibilità, le interiora possono essere consumate solo se veramente freschi: il che è un vantaggio. E, essendo essi organi indice della salute dell’animale, c’e’ più certezza che la carne provenga da un animale in perfetto stato mangiandone le interiora piuttosto che mangiando un taglio pregiato.

La preparazione non presenta particolari complessità.

Abbondante cipolla con cui rosolare le carni tagliate a piccoli pezzi,da aggiungere un po’ per volta in considerazione del tempo di cottura (di più il fegato, di meno il polmone).

Con i carciofi, di cui ora comincia la stagione, formano una accoppiata vincente

Nel pane, leggermente bruscato da un lato, con abbondante intingolo, è la morte sua.

martedì 6 marzo 2012

Postacci


Postacci: non sono mica i posti a la Gambero Rozzo -  quelle bettolacce in cui è il mangiar male ad evocare emozioni - né tanto meno i posti in cima alle classifiche del GamberoRosso (quello con la esse), dove perlopiù solo le papille di sprovveduti gastrogonzi riescono a vibrare d’emozione.

Postacci sono quei posti in cui vai semplicemente per mangiare, né bene né male, ma per mangiare esattamente ciò che ti vorresti trovare nel piatto in quel preciso istante, in quel posto, in quello stato d’animo. E te ne freghi se la tovaglia è di carta, se coltello e forchetta non appartengono allo stesso servizio, e se perfino i commensali sono spaiati.
Postacci non è dunque un dispregiativo di posto: è un sostantivo a sé (e, semmai dovesse servire, tenete a mente che ne esiste anche una versione dispregiativa: postacciaccio).

La Liguria è una terra da esplorare..capace di contentare un microcosmo in un fazzoletto di terra stretto tra mare e monti, in cui le stagioni si susseguono al ritmo di uno sciacquone del water, in cui ogni cosa, perfino una certa ruvidezza caratteriale delle sue genti, è indissolubilmente legata al territorio.
[Fj] Past.ramaIl cibo ne è la testimonianza più evidente..

L’esplorazione comincia un sabato mattina sul lungomare di Sestri Ponente.
L’aeroporto è talmente vicino che non vale la pena di prendere un taxi, o un bus…si va a piedi i città e poi ci si muove.
Ale 801
Il primo bus che passa è l’uno, che percorre da un lato all’altra la città, da Voltri (il nuovo porto commerciale, il grande terminal container)  fino a Caricamento (il vecchio Porto Antico).
Genova - area portuale e il Matitone
In mezzo c’e’ di tutto: dalla città industriale che non c’e’ più (le acciaierie di Cornigliano), alla città industriale che ha trovato nuova vita nel moderno centro di Fiumara, al Matitone, simbolo del rinnovamento intrapreso con le Columbiadi del novanta, di immagine, funzionalità è razionalità.


Sampieradrena

E infine Genova.

La città, per me, inizia con il sestiere (sestiere -  e non quartiere - perché nel centro storico di Genova sono appunto in numero di sei) di Prè.

Una scintillante panetteria, pasticceria è il luogo ideale per una chiassosa colazione: cappuccino e focaccia.L’accostamento, sorprendente, si rivela molto più familiare del classico accostamento del cappuccino con il croissant.

Vicoli degradati e sontuosi palazzi secenteschi si alternano in una ordinata confusione, bagasce  e mercanti, la ricchezza di stucchi e specchi Art Déco di alcuni bar e lo squallore di altri locali.
Ma tutto ha un fascino, un profumo, una ragion d’essere.
Come il mercato orientale, così chiamato perche sorge nella parte orientale della città, verso brignole.
Verdure, pesce, carni..un classico mercato annonario, a colori.

Ora di pranzo.

La meta è fissata, ed è il postaccio di oggi: Trattoria Da Maria, a due passi da Piazza De Ferrari e dal Teatro Carlo Felice.
Un vicoletto cela l’ingresso di questo locale che è una vera e propria istituzione per i genovesi.
Semplicità del posto - decoroso ma senza fronzoli -  e  genuinità della cucina - la creatività e le variazioni qui non sono ammesse: tutto è fatto alla maniera classica - sono le carte vincenti di questo locale che, anche adesso che Maria non c’è più, tiene fede alla tradizione.
Clienti fissi e, pochi, forestieri di passaggio si accalcano su lunghe tavolate, chi chiacchierando, chi rimuginando in silenzio.Nicoletta, maître  di sala, ha il suo bel da fare.
Al piano terra un paio di stanze e la cucina in vista; una ripida scala, anch’essa a vista, conduce al piano superiore dove con altrettanti  locali, di solito un po’ meno affollati, si riesce sempre a trovare posto, senza lunghe attese.
In ogni caso , qui, l’orario del pranzo è massimo a mezzogiorno: oltre tale ora, la lista dei piatti si accorcia sempre di più.

La lista, a proposito, è costituita da tante targhette che vengono appese con piccoli ganci sulle pareti; mano a mano che una determinata pietanza finisce, viene tolta la relativa targhetta.
C’e’ poi la carta, il menù, dove ogni piatto è accompagnato non tanto dalla sua descrizione, quanto da un appellativo qualificativo.

Ecco dunque che il minestrone alla genovese sarà indicato come minestrone “buonissimo”; lo stesso dicasi del polpettone: basta sapere che è “buonissimo”, cosa ci sia dentro è secondario.
il dolce della casa è semplicemente “delizioso”, di nome e di fatto.
Commensali vanno e vengono con gran velocità: ho quasi finito di mangiare il mio minestrone (a proposito: buonissimo!) che mi si siedono davanti Bob e Roberta.

La conversazione prende subito piede: Bob è Roberto - Bob -Quadrelli, una leggenda della scena indie Genovese. Un  Premio Tenco alle spalle, una lunga carriera che spazia tra il punk e l’ento-folk, una misteriosa malattia che lo mina nel fisico ma non nell’animo.

Roberta è Roberta Barabino, raffinata ed elegante cantautrice genovese: un LP (Magot), delizioso e suadente, da poco uscito.


Il secondo ci penseranno loro a ordinarmelo: acciughe ripiene, un bontà.

Sulle pareti, non foto di vip tristi testimonial al locale, ma una serie di testimonianze, aneddoti, mattestati di riconoscenza, lasciati da chi nel corso degli anni ha eletto Da Maria come una propria seconda casa.

Undici Euro e 50 per un menù completo, comprensivo di vino e dolce.

Il caffè non me lo sono scordato di prendere: a Piazzale Corvetto, percorrendo poche centinaia di metri della sciccosissima Via Roma, c’è lo storico Bar Pasticceria e Confetteria Mangini, un localedi gran classe.

Il pomeriggio prosegue con ampie passeggiate per la città, in attesa della prossima gastro-meta già stabilita: destinazione Savona.

Musica: un omaggio a Roberta Barabino e alla sua compagnia. - Buongiorno a te -Radio Edit- Magot, Roberta Barabino



spaghetti con la bottarga


Non passa che un giorno da quanto ho sperimentato l’esclusiva semplicità degli spaghetti ajo e ojo, che vedendo un vasetto di bottarga di muggine mi è balenata un’idea.


La ricetta sembra identica, il risultato - e il sapore - è completamente differente.

La bottarga - per chi non lo sapesse - non è altro che il sacco ovarico, le gonadi, insomma le uova - sottoposto a salatura e pressatura. La muggine altro non è che il cefalo; la bottarga di tonno è ancora più pregiata.
Si unisce a fine cottura, in padella saltando la pasta con del buon olio extra vergine di oliva.
Una grattatina di ricotta salata non ci sta male.

Il prezzemolo - ornamentale, s’intende - è d’obbligo.

Vino: La segreta  Planeta 2010 - un sapiente mix di uve autoctone della Sicilia (Grecanico) e vitigni internazionali (Chardonnay, Viognier) Un naso esuberante e un riuscito equilibrio tra acidità e sapidità al palato


Nihil in the fridge (quando il frigo è vuoto)


Aspettavo con ansia il giorno in cui non avrei trovato nulla nel frigorifero.
Né un uovo, né dei pomodori, né della verdura, nemmeno della carne. Niente. Di niente.

È il giorno perfetto. The perfect day. È il giorno perfetto per cimentarsi nel piatto più semplice, l’unico, forse al pari dell’uovo al tegamino e della patata lessa, che è in grado di rivelare l’effettiva abilità in cucina.
È il giorno perfetto per due spaghetti ajo e ojo. E peperoncino.

L’aglio era pure rinsecchito. Il peperoncino era quello confezionato frantumato. L’olio era invece buono buono: un Canino dop.

La preparazione è semplicissima: che devo dire!? Spaghetti (o linguine, ma meglio gli spaghetti) cotti al dente, aglio fatto sfrigolare nell’olio insieme al peperoncino, poi tolto (ma c’e’ chi lo lascia). Due salti in padella. Una spolverata di prezzemolo come ornamento.
Evuala’

Vino: castelli romani bianco. Asciutto e sapido


martedì 21 febbraio 2012

Cacio & Pepe

Si torna a cucinare.

Resto fermamente convinto che quanto più semplice è la preparazione, quanto più ristretto è il novero degli ingredienti, tanto maggiore sarà la soddisfazione nel gustare una vivanda della quale si riesce a percepire la pienezza dei profumi e dei sapori.

Cacio e Pepe è un classico della cucina romanesca.
Dietro la sua semplicità, si nasconde, tuttavia, una certa complessità nella realizzazione che richiede indubbia abilità.

Pasta in bianco con il formaggio l’abbiamo mangiata tutti..e non basta una grattatina di pepe sopra per farla diventare una cacio e pepe. Basta però poco di più di quanto strettamente necessario, basta sbagliare tempi e sequenza per trasformare una potenziale cacio e pepe in un pastone poco gourmand.

Innanzitutto: “cacio e pepe” cosa? Manca il soggetto. Sottointeso, la pasta: ma quale? Gli spaghetti? i rigatoni? i tonnarelli?
Sono tre valide possibilità: gli spaghetti in nome della tradizione e della essenzialità, i tonnarelli tendono ad assorbire ancora di più il condimento, e può essere tanto un pro quanto un contro, i rigatoni se proprio uno non riesce a rinunciare alla pasta corta.

Pasta cotta al dente, riversata - ancora gocciolante - in una bowl dove avrete messo abbondante pecorino romano e pepe nero grattugiato al momento.
Si mescola subito e rapidamente: l’acqua residua di cottura contribuirà ad estrarre l’amido dalla pasta e ad amalgamare l’ingredienti.
Ancora una spolverata di pecorino e una grattatina di pepe e si impiatta.

Importante che tutto sia caldo: la pasta, i recipienti, il piatto..sennò il formaggio si rapprende.

Poi la potete fare come volete: sappiate che in blasonati locali romani la propinano con una cremina diluita con olio o burro e tendono ad ammorbidire il sapore del pecorino con una buona percentuale di parmigiano.
Ma la ricetta della tradizione, la stessa tradizione che ne faceva un piatto povero dei pastori, è quella che vi ho descritto.

Nel bicchiere: un vino bianco, fresco, ben strutturato, profumato. Un pecorino ad esempio.

Nello stereo Red Hot Chili Peppers - Can't Stop.



venerdì 17 febbraio 2012

Circles of food - breakfast edition


Mi sto troppo divertendo.
Un coppapasta può diventare un accessorio che provoca dipendenza.

Nasce come stampino, diventa una forma per impiattare, infine lo si usa come fustella per tagliare.

Mi sveglio e non riesco più a concepire l’idea di poter fare colazione con qualcosa che non sia riportato alla perfezione di una forma circolare.





Ne fanno le spese nell’ordine:
  • due fette di pane integrale tostato
  • una arancia
  • una mela

Circles of food - 2











Di nuovo con i miei bei tre cerchietti.

Questa volta, all’immancabile taglio di roast beef argentino (dovevo pur finirlo) ho associato un cous-cous allo zafferano, e una insalatina catalana.

Due parole sul cous-cous.
Preparato a partire dal grano precotto, che di gran lungo è il più comodo, in eguale proporzione di acqua.
Al bollore di questa, spenta la fiamma,  unito un cucchiaio di olio a filo, o una noce scarsa di burro, si scioglie una bustina di zafferano in polvere, si aggiunge il cous-cous, si sgrana con i rebbi della forchetta, si copre ed in cinque minuti è pronto.

L’insalatina catalana altro non è che un mix di insalata a foglia verde (indivia o scarola riccia) e peperoni dolci  a striscioline, verza e un po’ di carote e zucchine à la julienne.
Condita con succo di  limone, sale, olio e pepe.

Carne, cous-cous e insalatina ordinatamente impiattati con un coppapasta e coperti da un sottile filo d’olio.

martedì 14 febbraio 2012

Circles of food

Coppapasta
Oggi il cibo non è sostanza, ma solo forma.

Ho trovato da IKEA (3,99 €) degli stampini in acciaio inox, che solo dopo averli presi ho scoperto essere non gli stampini per tagliare i biscotti, ma i famosi -e tanto cercati, almeno finché non ho scoperto come si chiamassero e a cosa servissero bene - coppapasta.

Si tratta di quegli stampini senza fondo che vengono utilizzati non solo per tagliare le vivande, ma soprattutto per comporre e impiattare in modo elegante gli alimenti, riso, pasta, contorni di patate e verdure, per dare forma a desert, aspic ed alimenti cotti al forno.

Per il giorno di San Valentino sono andati a ruba quelli a forma di cuoricino, ma anche quelli classici rotondi ho avuto la fortuna di trovarli una sola volta - e mai più - da IKEA.

Il protagonista di oggi, dicevo, non è la sostanza del cibo che è stato cucinato, bensì la sua forma.

Un succulento taglio di roast-beff argentino, sottoposto a lunga frollatura e marinato, pan-fried in padella, con poco olio o burro chiarificato. La cottura rapida e ad alta temperatura- il pan frying, appunto - consente una rapida attivazione della reazione di Maillard, che conferisce alla carne un aspetto brunito e croccante e dona un dolce profumo abbrustolito.
Oh, detto per inciso, la reazione di Maillard (in parole povere la reazione che avviene durante la cottura tra gli amminoacidi delle proteine e gli zuccheri: una sorta di caramellatura) non potrebbe avvenire nella carne se questa non fosse stata preventivamente marinata.
Così cotta, la carne rimane tenerissima e succosa; con una leggera del coppapasta ne ricaviamo un primo cerchietto.

Per il secondo cerchietto ho stufato delle cipolline borretane pulite con un po di patate novelle e della salsa di pomodoro. Ne è venuto un contorno leggero e saporito che si è fatto praticamente da solo.

Come accompagnamento, infine, ho riempito un altro coppapasta con del riso roma cotto al naturale, a mo’ di imballino.

Tre cerchietti da 5 cm di diametro.





Avevo pronto un Lambrusco Grasparossa di Castelvetro secco, che si è rivelato un ottimo accompagnamento.

Musica: Toy Dolls - Lambrusco Kid


http://www.youtube.com/watch?v=a6z3ynWEjdc

mercoledì 8 febbraio 2012

American-style Breakfast


Stavolta ci vado giù pesante.
Una colazione a base di bacon and eggs, rivisitata in chiave continentale.

Per prima cosa, direi di partire dalla musica, che possiamo far partire subito, mentre vi dispiego l'architettura del piatto. Pink Floyd-Alan's Psychedelic Breakfast è una scelta d’obbligo.

Per il piatto le immagini parlano già da sole: due uova all’occhio di bue, un po’ di affettato fritto e delle patate novelle lessate.



Si parte con lo scaldare un po’ di burro in una padella dove vi si fa sfrigolare il bacon, o, come in questo caso, del prosciutto tirolese affumicato.
Tenete la fiamma viva, ma non fate mai fumare la padella, nella quale, subito dopo, dovrete andare a cuocere le uova all’occhio di bue.
Patate: ottime quelle novelle - potete anche mangiarle con la buccia che è sottilissima - appena scottate in acqua bollente; in alternativa del purè. Lasciate agli americani le patate fritte.

Da bere, resistete alla tentazione di accompagnarvi con una falangina ghiacciata, e concedetevi una bella spremuta di arance fresche.