venerdì 3 febbraio 2012

Cotoletta


 Checché se ne dica, uno dei piatti principe della gastronomia milanese, ha come base del proprio successo il sapiente stratagemma di coniugare ingredienti preziosi (e costosi) come la carne di vitello, con ingredienti poveri, ma gustosi, come pangrattato e uovo.

Ecco il segreto di un piatto la cui presenza spazia, in innumerevoli varianti, in ogni parte del mondo.

Letteralmente, il termine cotoletta si ricollega a costoletta e dunque a costola: è infatti proprio un costola ricavata da una lombatina di vitello la parte da cui si ricava la cotoletta.

Questa è, in realtà, la classica cotoletta con osso, ma il termine cotoletta ha assunto nel tempo un significato più ampio, che non va più ad indicare il taglio di carne, quanto piuttosto la sua preparazione.

E la preparazione, pur con qualche variante, è in linea di massima la stessa: la carne viene passata una o più volte nell’uovo e nel pan grattato, e infine fritta (burro, strutto, olio vegetale).

Variante apprezzata della milanese è quella detta “orecchie di elefante”, sempre di carne di vitello, ma senz’osso e talmente sottile da arricciarsi , in fase di cottura, ed assumere quella forma drappeggiata tipica delle orecchie dei pachiderma.

Imitazione, o originale che sia, la Wiener Schnitzel (cotoletta viennese), che però non ha l’osso, è la prossima parente della milanese e a lungo, tra le città,  si è contesa sulla primogenitura.

Arriva perfino in Giappone, dove con il nome di  katsuretsu , o di tonkatsu, si indica una cotoletta di carne di maiale, piuttosto spessa, panata e fritta, e tagliata a listarelle in stile sushi
.
L’approdo nei fast food ha reso cibo universale la cotoletta: ora se ne trovano di vitello, di maiale, ti pollo o tacchino, di agnello.

Addirittura, e sono le più comuni tra in prodotti pronti per la cottura, la  carne non deriva direttamente da un taglio dell’animale, ma è un preparato di carne tritata. Queste, in ultima analisi, sono le più semplici da fare: possono essere cotte perfino in padella senza aggiunta di grassi, essendo già sufficiente quello della panatura che le ricopre.

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